Informativa deontologica
Chi c’è dietro a “studiolegalapappa.com” ed i suoi profili social? Quale responsabilità hanno gli avvocati? Gli avvocati possono farsi pubblicità? Come mai sul sito non ci sono indicate le specializzazioni? Perché non ci sono i nomi dei clienti? Che responsabilità professionale ha l’avvocato? Quanto costa l’avvocato? Come faccio a chiedere un preventivo?
Per iniziare: chi c’è dietro a “studiolegalapappa.com”
Le pagine del sito “studiolegalapappa.com”, notificato al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Napoli in data 29.05.2015 sono intesi e predisposti ai fini informativi: secondo la normativa deontologica è necessario rispettare criteri di correttezza e verità, con osservanza della dignità e del decoro della Professione Forense e degli obblighi di riservatezza e tutela del segreto professionale.
La legge 247 del 2012 all’articolo 10 stabilisce che “… è consentita all’avvocato la pubblicità informativa sulla propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio e sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti. La pubblicità e tutte le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere comparative con altri professionisti, equivoche, ingannevoli, denigratorie o suggestive“.
Il sito web “studiolegalapappa.com” ed i profili sui social media – raggiungibili su Facebook (https://www.facebook.com/avvocatogiuseppepappa) e Linked in (https://it.linkedin.com/in/giuseppe-pappa-6144222b) – sono pertanto realizzati al fine di offrire informazioni sullo Studio legale, l’attività svolta, gli ambiti di attività prevalente (in attesa di poter finalmente indicare la specializzazione), i titoli professionali posseduti, convegni, e la struttura dello studio, segnalando altresì mediante contributi di vario genere (sentenze, massime, articoli, approfondimenti ecc.) problematiche giuridiche ritenute degne di approfondimento.
Il titolare del dominio e dei profili dei social media – nonché responsabile dei loro contenuti – è l’avvocato Giuseppe Pappa, iscritto all’Albo degli Avvocati di Napoli dal 19 gennaio 2015, tessera n. AA030821.
L’avvocato Giuseppe Pappa ha stipulato a maggiore garanzia per i clienti e seguendo il preciso dettato deontologico e normativo una assicurazione per la responsabilità professionale n. IFL0006526.006037 – intermediario Marsh Spa, assicurazione “AIG Europe Limited rappresentenza Generale per l’Italia”.
Come si dirà, “studiolegalapappa.com” peraltro da tempo informa l’assistito, all’atto dell’incarico professionale, degli adempimenti e dei diritti relativi al trattamento dei dati), degli obblighi antiriciclaggio, e specifica per iscritto costi presumibili dell’incarico (consulta informative e incarico professionale): ciò peraltro solo a seguito di un colloquio informativo (normalmente non a pagamento, a meno che non risolva il problema) per poter acquisire la informazioni necessarie.
Ci piace però ricordare che il rapporto tra cliente e avvocato non è soltanto un rapporto privato di carattere libero-professionale e non può perciò essere ricondotto puramente e semplicemente ad una logica di mercato, essendo l’avvocato necessario “partecipe” dell’esercizio diffuso della funzione giurisdizionale, se è vero che nessun processo (salvo i processi civili di limitatissimo valore economico) può essere celebrato senza l’intervento di un avvocato: da qui la “forte valenza pubblicistica dell’attività forense” (Cassazione civile, SS.UU., sentenza 9861/17 dell’aprile 2017).
L’avvocato garantisce un risultato?
Quando ci si siede davanti ad un avvocato e gli si affida la soluzione di un problema si conduce un contratto (anche solo oralmente, il cd. contratto d’opera). Questo contratto comporta diversi obblighi per entrambe le parti: rimandando al relativo approfondimento, si evidenzia come la responsabilità dell’avvocato sia allo stesso tempo responsabilità da esecuzione di mandato e responsabilità professionale.
Quella assunta dall’avvocato è però una obbligazione di mezzi e non di risultato: l’avvocato, quindi, non risponde se il suo cliente non raggiunge il risultato sperato. Rientra invece nel dovere del professionista svolgere ogni attività necessaria e utile alla fattispecie concreta.
L’obbligo di diligenza, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, secondo comma, e 2236 cod. civ., impone all’avvocato di assolvere – sia all’atto del conferimento del mandato, sia nel corso dello svolgimento del rapporto – anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo il professionista tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole (Cass., sez. 2^, sentenza n. 14597 del 2004).
Ciò detto, l’avvocato non può di certo imporre le proprie scelte al cliente: è infatti stato affermato he che l’attività di persuasione del cliente al compimento o non di un atto, ulteriore rispetto all’assolvimento dell’obbligo informativo, è concretamente inesigibile, oltre che contrastante con il principio secondo cui l’obbligazione informativa dell’avvocato è un’obbligazione di mezzi e non di risultato (ex plurimis, Cass., sez. 3^, sentenza n. 10289 del 2015).
Peraltro, è stato ribadito in sede disciplinare che il dovere di lealtà e correttezza nell’esercizio della professione costituisce un “canone generale dell’agire di ogni Avvocato, che mira a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nell’Avvocato stesso quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività” (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 247/17; depositata il 28 dicembre).
Quanto costa l’avvocato? E’ obbligatorio un preventivo?
Il compenso può essere concordato fra cliente ed avvocato oppure – se non c’è stato specifico accordo – viene calcolato seguendo delle tabelle ministeriali (cosiddetti “parametri”).
Quanto al preventivo, il decreto-legge 4 gennaio 2012, n. 1, aveva introdotto l’obbligo del preventivo per tutti i professionisti; per gli avvocati era poi intervenuta la Legge 31 dicembre 2012, n. 247 (“Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”) a limitare l’obbligo del preventivo ai soli casi di “richiesta” da parte del cliente (art. 13, comma 5).
La legge 4 agosto 2017, n. 124, cosiddetta Legge annuale per il mercato e la concorrenza, in vigore dal 29 agosto 2017, oltre ad introdurre la possibilità di esercizio della professione forense in forma societaria, con il comma 141 ha reso obbligatorio (anche per gli avvocati) l’obbligo di preventivo al momento del conferimento dell’incarico anche senza richiesta.
L’avvocato dovrà quindi
“…comunicare in forma scritta a colui che conferisce l’incarico professionale la prevedibile misura del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale…“.
Perché gli avvocati di “studiolegalapappa.com” non sono specializzati?
La citata legge annuale per il mercato e la concorrenza 2017 che riguarda tutti i professionisti (legali e non) stabilisce che allo scopo di “assicurare la trasparenza delle informazioni nei confronti dell’utenza, i professionisti iscritti ad ordini (..) sono tenuti ad indicare e comunicare i titoli posseduti e le eventuali specializzazioni” (art. 1, comma 152).
L’attuale normativa professionale e deontologica, e come confermato dalla recente regolamentazione della Formazione continua degli avvocati, NON consente però ancora all’avvocato di auto-attribuirsi il titolo di “specializzato”, dato che mancano i regolamenti necessari, anche a causa di un legislatore poco attento e una forte opposizione degli avvocati cd. generalisti, ciò che fanno un po’ di tutto.
L’avvocato che ad oggi si definisce “specializzato” commette quindi un illecito deontologico e (che è peggio) tenta di ingannare i clienti.
E’ infatti vietata l’auto-attribuzione in chiave elogiativa di titoli: la formazione specialistica di un avvocato non può essere vantata se non a fronte di un diploma o attestato approvato dal Consiglio Nazionale (per il quale allo stato, come detto, manca purtroppo una regolamentazione).
In assenza quindi di possibilità di ottenere questa attestazione in Italia, all’avvocato che approfondisca certe materie o che eserciti in maniera anche esclusiva la propria attività solo in un certo specifico settore del diritto, non resta che darne conto, ma senza fregiarsi del titolo di “specializzato”.
In attesa dell’entrata in vigore della normativa sulla specializzazione, lo Studio – che diffida dagli avocati “tuttologhi” o “generalisti” e che quindi offre la prestazione professionale secondo criteri di competenza dei professionisti dello studio sotto il coordinamento del titolare – indica come “materie prevalenti” i settori nei quali gli avvocati dello studio operano con costanza e curando la formazione professionale in via preferenziale.
Perché non ci sono i nomi dei clienti sul sito?
Anche questa pratica non è consentita (da ultimo, Cassazione civile, SSUU, sentenza 9861/17).
Pubblicare i nomi dei clienti sul sito è quindi SEMPRE vietato (e l’avvocato che viola l’impegno alla riservatezza e i doveri deontologici pubblicando i nomi andrebbe guardato con “sospetto”).
.. e la pubblicità degli avvocati?
La materia è di scottante attualità e non mancano i colpi di scena.
Non pare quindi fuori luogo un breve excursus in tema di pubblicità di avvocati:
– con il “decreto Bersani” (decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in Legge 4 agosto 2006, n. 248) sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio;
– con la c.d. ”Manovra bis” (Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148), è precisato che la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, è libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie;
– con il d.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, art. 4 comma secondo, si afferma che la pubblicità informativa deve essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo di segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria.
– infine, con la L. 31 dicembre 2012, n. 247, all’art. 10, è consentita all’avvocato la pubblicità informativa sulla propria attività professionale, sulla organizzazione e struttura dello studio e sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti. La pubblicità e tutte le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere comparative con altri professionisti, equivoche, ingannevoli, denigratorie o suggestive.
Le norme sopra riportate affermano, in linea con il codice deontologico, che la pubblicità in senso tradizionale (esaltazione di un nome, di un marchio, di un servizio, anche senza evidenziare le sue caratteristiche) è vietata; è altresì vietata la divulgazione di notizie riservate o coperte dal segreto professionale né possono essere divulgati i nomi dei clienti, anche se questi vi consentano (art. 17 Codice deontologico). Un sito di un avvocato non può contenere riferimenti commerciali e/o pubblicitari mediante l’indicazione diretta o tramite banner o pop-up di alcun tipo (art. 17 bis Codice deontologico).
Lo stesso Consiglio Nazionale Forense, con parere 15 ottobre 2012, n. 152 (sempre facendo riferimento alla disciplina del “vecchio” Codice forense) conferma che
“l’art. 2 del d.l. n. 223/2006, convertito nella n. 248/2006, abrogando le disposizioni che non consentivano la c.d. pubblicità informativa relativamente alle attività professionali, non ha affatto abrogato l’art. 38, comma 1, del r.d.l. n. 1578/1933, il quale punisce comportamenti non conformi alla dignità ed al decoro professionale. Dovendosi pertanto interpretare alla luce di tale disposizione le norme di cui agli artt. 17 e 17 bis del codice deontologico forense, la pubblicità informativa deve essere consentita nei limiti fissati dal codice deontologico e comunque deve essere svolta con modalità che non siano lesive della dignità e del decoro professionale.
Il codice deontologico forense, infatti, a seguito dell’entrata in vigore della normativa nota come “Bersani”, consente non una pubblicità indiscriminata (ed in particolare non comparativa ed elogiativa), ma la diffusione di specifiche informazioni sull’attività, anche sui prezzi (ndr: il Codice forense approvato il 31.1.2014 vieta invece tale informazione), i contenuti e le altre condizioni di offerta di servizi professionali, al fine di orientare razionalmente le scelte di colui che ricerchi assistenza, nella libertà di fissazione del compenso e della modalità del suo calcolo. La peculiarità e la specificità della professione forense, in virtù della sua funzione sociale, impongono tuttavia, conformemente alla normativa comunitaria ed alla costante sua interpretazione da parte della Corte di Giustizia, le limitazioni connesse alla dignità ed al decoro della professione, la cui verifica è dall’ordinamento affidata al potere-dovere dell’ordine professionale.”
L’unica pubblicità consentita agli avvocati è solo l’informazione su attività professionale, specializzazioni e titoli professionali posseduti, nonché struttura dello studio (essendo stati escluse le informazioni sui compensi dal Codice approvato dal CNF il 31.1.2014); si parla, a riguardo, di cd. pubblicità informativa.
Diversa dalla questione del diritto a poter fare pubblicità informativa della propria attività professionale è quella che le modalità ed il contenuto di tale pubblicità non possono ledere la dignità e il decoro professionale, in quanto i fatti lesivi di tali valori integrano l’illecito disciplinare (come ben enucleato da Cass., sez. unite, sentenza 18 novembre 2010, n. 23287).
Estratto dal Codice Deontologico
Art. 17 Informazione sull’esercizio dell’attività professionale
- È consentita all’avvocato, a tutela dell’affidamento della collettività, l’informazione sulla propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio, sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti.
- Le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative.
- In ogni caso le informazioni offerte devono fare riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale.
Art. 18 Doveri nei rapporti con gli organi di informazione
- Nei rapporti con gli organi di informazione l’avvocato deve ispirarsi a criteri di equilibrio e misura, nel rispetto dei doveri di discrezione e riservatezza; con il consenso della parte assistita, e nell’esclusivo interesse di quest’ultima, può fornire agli organi di informazione notizie purchè non coperte dal segreto di indagine.
- L’avvocato è tenuto in ogni caso ad assicurare l’anonimato dei minori.
Art. 35 Dovere di corretta informazione
- L’avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale, quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse, deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale.
- L’avvocato non deve dare informazioni comparative con altri professionisti ne’ equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti l’attività professionale.
- L’avvocato, nel fornire informazioni, deve in ogni caso indicare il titolo professionale, la denominazione dello studio e l’Ordine di appartenenza.
- L’avvocato può utilizzare il titolo accademico di professore solo se sia o sia stato docente universitario di materie giuridiche; specificando in ogni caso la qualifica e la materia di insegnamento.
- L’iscritto nel registro dei praticanti può usare esclusivamente e per esteso il titolo di «praticante avvocato», con l’eventuale indicazione di «abilitato al patrocinio» qualora abbia conseguito tale abilitazione.
- Non è consentita l’indicazione di nominativi di professionisti e di terzi non organicamente o direttamente collegati con lo studio dell’avvocato.
- L’avvocato non può utilizzare nell’informazione il nome di professionista defunto, che abbia fatto parte dello studio, se a suo tempo lo stesso non lo abbia espressamente previsto o disposto per testamento, ovvero non vi sia il consenso unanime degli eredi.
- Nelle informazioni al pubblico l’avvocato non deve indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano.
- Le forme e le modalità delle informazioni devono comunque rispettare i principi di dignità e decoro della professione.
- La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
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Sull’uso di social media da parte dell’avvocato
(Consiglio Nazionale Forense (rel. Piacci), parere del 27 aprile 2011, n. 49)
La questione posta dall’Ordine (di Verona, ndr.) attiene alla necessità di applicare le regole sulle informazioni professionali, dettate dagli artt. 17 e 17-bis c.d.f., al settore delle comunicazioni elettroniche e della rete internet in particolare.
Questa Commissione ha da tempo indicato come internet sia uno strumento senz’altro idoneo all’effettuazione di comunicazioni al pubblico e financo alla trasmissione di consulenze o pareri (v. già parere 21 novembre 2001, quesito del COA di Forlì-Cesena). Peraltro, quando un avvocato cura e pubblica un sito internet, va precisato se si tratti di un sito di natura scientifica o culturale, o piuttosto lo stesso sia riferibile direttamente allo studio legale. Allo stesso modo, va evitata ogni informazione che risulti fuorviante, o decettiva, in merito alla natura o alle modalità di effettuazione delle prestazioni professionali offerte, o altrimenti descritte. In questo senso, giova richiamare il parere con cui si è stigmatizzato il contegno di colui che introduca elementi ambigui, o fuorvianti, che portino la clientela a non percepire l’appartenenza del sito ad uno specifico professionista legale, ad esempio tramite l’inserimento nel sito di contenuti culturali od informativi pubblicati a titolo gratuito, senza enunciare chiaramente la propria qualità di legale (cfr. parere 27 aprile 2005, n. 35). In altri termini, all’avvocato è evidentemente garantita sulla rete la più piena libertà di espressione e comunicazione, con l’eccezione di contegni che portino ad un’elusione del principio di correttezza dell’informazione, nonché alla violazione dei criteri di trasparenza e veridicità.
Ciò posto, in linea di principio va poi osservato che il rispetto dei predetti criteri è affidato dall’art. 17 del Codice Deontologico al controllo del competente Consiglio dell’Ordine che deve anche verificarne il contenuto affinché l’informazione sia conforme a verità e correttezza, non potendo altresì avere ad oggetto notizie riservate o coperte dal segreto professionale.
L’informazione deve poi rispettare la dignità e il decoro della professione e non deve mai assumere i connotati della pubblicità ingannevole, elogiativa o comparativa.
Al riguardo, l’art. 17 bis del Codice Deontologico prevede una serie di adempimenti per l’avvocato che intenda dare informazioni sulla propria attività professionale (denominazione dello studio, Consiglio dell’Ordine presso cui è iscritto, la sede di esercizio con i relativi recapiti, gli eventuali titoli riconosciuti, ecc.) e prevede altresì che l’avvocato possa “utilizzare esclusivamente i siti web con domini propri e direttamente riconducibili a sé, allo Studio Legale Associato o alla Società di Avvocati alla quale partecipa, previa comunicazione tempestiva al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto in cui è espressa“.
In altri termini, pur nella libertà di informativa sulla propria attività professionale, le modalità e i contenuti della stessa devono essere aderenti a ben precisi requisiti deontologici, il cui rispetto, come già sopra si è osservato, è affidato al controllo del Consiglio dell’Ordine competente.
Nel caso di specie, l’utilizzo di un social network come Facebook e Twitter, in cui il primo accesso è del tutto libero e che contemporaneamente dà la possibilità di consentire l’ulteriore accesso ai propri dati esclusivamente a discrezione del titolare del profilo, impedisce da un lato la conoscenza al COA della frequentazione da parte dell’avvocato, e dall’altra parte una possibilità di accedere al profilo in maniera non “filtrata” dallo stesso avvocato.
D’altro canto, sarebbe impensabile che i Consigli dell’Ordine, soprattutto per quelli con elevatissimo numero di iscritti, in decine di migliaia, potessero effettuare continuamente controlli a tappeto per verificare se un iscritto, nell’utilizzo di social network (nel caso di Youtube l’accesso è totalmente libero e privo di qualsiasi forma di iscrizione) nel fornire informazioni sulla propria attività, si attenga a quei principi deontologici sopra richiamati.
Anche perché, nel caso di Facebook e Twitter, potendo il titolare del profilo consentire l’accesso solo a persone di proprio gradimento (cd. “contatti” o “amicizie”), l’Ordine potrebbe non essere in grado di consultare le pagine sulle quali siano pubblicate informazioni che in qualche modo riguardino l’attività forense del soggetto iscritto al sito.
Al contrario, non può dubitarsi che la pubblicazione di messaggi, informazioni o altri contenuti su pagine di tali networks che siano visibili a chiunque si connetta ad internet sia oggetto di verifica e vada trattata e giudicata alla stessa stregua di ogni altro sito web, anche curato direttamente dall’interessato.
Un social network può essere utilizzato tanto per messaggi a carattere strettamente personale (e quindi insindacabili anche ove contengano riferimenti alla professione), quanto per informative volte alla conoscenza presso la clientela o alla promozione del nome dello studio legale (e come tali sottoposte alla disciplina e vigilanza deontologiche). Ciò che va distinto a fini deontologici non è quindi il mezzo in sé e per sé, bensì l’uso che ne viene fatto e la cerchia di destinatari che, volontariamente o meno, vengano a contatto con l’utente titolare del profilo personale online.
Se l’avvocato utilizza il network per scopi di comunicazione professionale dovrà comunicare tale intendimento in via previa al Consiglio di appartenenza, come prescritto dal già citato art. 17-bis c.d.f.
Ne consegue che, in mancanza di tale adempimento e valutate le circostanze concrete del caso, egli potrà essere sanzionato disciplinarmente dal Consiglio di appartenenza. Quest’ultimo sarà necessariamente chiamato, nell’esame di fattispecie di utilizzo di reti sociali, a valutare nella fattispecie concreta quegli elementi che ne siano tipici (come ad es. accessibilità del profilo, decoro della pagina personale, contatti palesemente volti all’acquisizione di clientela, sfruttamento della visibilità connessa al mezzo, etc.).
Misure di sicurezza e di tutela della salute (d.lgs. 81/2008)
Quanto alle misure di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori e collaboratori, lo Studio cura l’adeguamento al TU sulla sicurezza (d.lgs. 81/2008) riassumendo gli adempimenti dovuti nel documento di valutazione dei rischi per la sicurezza.
(tratta dal sito www.canestrinilex.com ed adattata al sito www.studiolegalepappa.com)